Il testamento, le vesti e le armi di Feo di Bonfantino da Firenze (1310)

Tra gli importanti lasciti fatti alla SS. Annunziata nei primi secoli di esistenza, vi fu quello del testamento di “Monfantini”, nome storpiato di Feo Bonfantini, o di Bonfantino se si preferisce, ricco fiorentino della parrocchia di Santa Maria Nepotecose, contemporaneo di Dante e socio della banca Spigliati e Spini.
L’atto fu scritto il 7 febbraio 1310 (s.c.) e ebbe come testimoni i concittadini Feo di Cione Minerbetti, Scarlatto di Bocca, Lotterio e Lapo fratelli del fu Bonagiunta, Bocca di Scarlatto e Giovanni di Puccio. Lo rogò il notaio ser Giovanni (senza patronimico). Le volontà di Feo riguardarono in primis la sepoltura presso la chiesa di Santa Reparata e il lascito di 80 lire da distribuire a certi enti religiosi per l’anima sua, della moglie Venna e di Lapo e Durante suoi fratelli.
I beneficiari elencati furono l’opera di Santa Reparata, alcuni ospedali – di San Gallo, di San Giovanni di via di San Gallo, di San Bartolomeo del Prato, di Santa Maria Nova, della Società di Santa Maria a Magnali, del Bigallo, di San Giovanni nel Piano di Mugnone e di Quintolo – e i monasteri femminili – le recluse di Quintolo, le Convertite, le monache di San Domenico, di Faenza (vallombrosane), le recluse di Sant’Iacopo “Intervineas” (Tra le vigne), quelle di Santa Maria di Urbano, di San Donato, di Monticelli, di San Gaggio, di Castelfiorentino e “de Muris”.
Sono citati poi la Badia a Candeli (Bagno a Ripoli) e le chiese del beato Iacopo di Girone e di Santa Maria di Rignalla.
Gli enti religiosi maschili invece furono l’opera dei frati Minori e l’opera dei frati Predicatori, il convento di Sant’Agostino, i frati del Carmelo, dei Servi di Santa Maria, quelli di Sant’Egidio e di San Marco. Per finire sono elencati la chiesa di Santa Maria Nepotecose, la Società della Beata Maria di Orsanmichele, San Bartolo del Corso degli Adimari e l’opera delle mura del comune di Firenze.
Nei paragrafi successivi Feo dispose la restituzione della dote alla moglie e la corresponsione di 600 lire di dote a ciascuna delle figlie: Francesca, Moltobella e Bartola.
Lasciò quindi tutti i beni mobili e immobili ai figli Bonfantino adulto, e Iacobo e Bernardo pupilli, con la condizione che le proprietà restassero indivise, e che ne fossero curatori e tutori (per i minorenni) la moglie e i fratelli, loro zii.
Aggiunse dei codicilli il 9 e il 14 febbraio, quando volle che delle 80 lire per gli enti religiosi sopra citati, 30 lire fossero detratte e corrisposte al vescovo di Firenze.

Il 10 marzo 1311 Venna e i cognati fecero una dichiarazione. Dopo essersi fatti il segno della croce in presenza del giudice Decco da Figline, del notaio Giovanni e dei testimoni, e dopo aver accertato il consenso e la parola del mundualdo della donna (Neri di Gianni da Santa Maria Nepotecose), ‘confessarono’ le proprietà immobiliari lasciate da Feo:

- Una terza parte non divisa di un tenimento con palazzo e case sopra posto nella cappella di Santa Maria Nepotecose (con questi confini: a primo via, a secondo Scarlatti e quelli dei Macci, chiasso in mezzo, a terzo “de Helistis” e Corbizi e gli eredi di Dino di Sale, a quarto via), dalla quale andava detratta e salvata la parte di una bottega d’angolo dove dimoravano i sellai eredi di Dino di Sale.
– 4/9 di case con corte e terre nel popolo di San Lorenzo fuori porta Corbolini (a primo e secondo gli eredi di Lippo di Brunellesco, a terzo dom. Guardina, a quarto la chiesa di Sant’Iacopo “Intervineas”).
– Un terzo di terra boschiva nel popolo della Badia Fiesolana a Trafori (a primo via, a secondo e a terzo la terra della chiesa di Santa Cecilia).
– La metà di un podere con case, corti e tre forni, pozzo e fornace nel popolo dell’abbazia di Candeli luogo detto Tenzinose (a primo via e l’Arno, a secondo un fossato, a terzo i figli di dom. Lapaccio dei Cerchi, a quarto la via e i suddetti figli di Lapaccio).

Nei paragrafi successivi i parenti di Feo fecero elencare le vesti di valore e le parti di armatura lasciate dall’uomo:

– Una pelle di “sciamito” [tessuto di lusso satinato e brillante] di color vermiglio da donna;
– un vestire di panno verde di “doagio [panno di lusso, da Doagio di Fiandra] sive guarnacha” [ovvero guarnacca, lunga e ampia sopravveste], e mantello da donna;
– un vestire di panno “saie [saia, tessuto a trama e ordito a armatura] di camo” di color “persi” [bruno scuro a riflessi rossicci], mantello e guarnacca;
– un vestire di saia d’Irlanda [di tipo rasato] di color “persi”, guarnacca e mantello;
– due giubbe di sindone [panno lino], una di color vermiglio e l’altra di color verde da donna;
– due tovaglie da tavola grandi;
– due manutergia [asciugamani];
– una “suprasbergam” [soprasberga, veste che si portava sopra l’usbergo] di panno di saia “di luie” con croce vermiglia da uomo [l’emblema del popolo fiorentino che Feo aveva servito come soldato?];
– un “corsitium [corsetto] de ferro”, una gorgera [a difendere la gola] e un “parguantorum de ferro [un paio di guanti di ferro]”;
– una catenella di argento a uso di mantello da donna;
– una fregiatura di “scannellini” [a piccoli solchi] di argento dorato;
– un anello di oro con diamante da donna;
– un letto grande fornito con copertoio grande “aspinapesci” [a spina di pesce];
– un celone francesco [coperta francese] di color verde con due paia di lenzuola;
– una coltrice grande con due “capitalibus” [capezzali, cuscini stretti];
– una coltre di “bucherame” [tela di bambagia] bianco;
– una soprasberga “attam ad armandam” di bucheramine con “vitis sutis” [viti cucite?] sopra di essa;
– un tessuto fornito di argento;
– un paio di gamberuole e un paio di cosciali;
– un bacinetto con una “caroferre”;
– una spada, un guaderletto [rinforzo di legno o un’arma?] e un coltello;
– due casse grandi di abete una con una chiusura e un altra con due;
– un paio di cofani;
– metà di sette vegete [piccole botti], tre arche e due madie che erano in comune con Durante.

Paola Ircani Menichini, 17 febbraio 2023.
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